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(Dina Viglianisi, Simbiosi 1, 1998, olio su tela, 80x120) |
18 Gennaio, 1993.
In questi giorni mi sento
particolarmente turbato, stressato, assalito da dubbi, da continui perché. Mi
sento in agonia. Un'agonia strana, però. Non è lotta per la vita, questa vita.
Ho accettato, ormai, la prossimità della fine. Mi sono fatto obbediente. La
mia, è un'agonia di amore e di conoscenza, di Dio e di futuro.
Sedotto dalla conoscenza,
cerco spiegazioni nell'amore. Non ne trovo. L'una e l'altro sono tutt'uno, per
me, ora. In che cosa, infatti, conclude la conoscenza, se non nell'amore? E l'amore
non è quell'urgenza che ci spinge alla conoscenza, fino a farci stare male? Non
viviamo di desiderio, di attesa, di bisogno di pienezza? Non siamo sempre alla
ricerca di qualcuno, compreso noi stessi, che ci possa appagare e rendere quieti?
È strano che tutte queste
domande me le ponga soltanto ora. Ora che il tempo si dilegua fra le mie dita
scarnificate dal dolore.
Penso talvolta che la “fine”
mi è necessaria se voglio in qualche modo capire. Eppure il mistero mi sovrasta
lo stesso, perché Dio rimane Dio ed io rimango io, con un nome e una storia
recuperati nel tempo. Un tempo sempre orfano, scandito da nascite e morti, da
guerre e paci, da felicità improvvise e da dolori covati nel silenzio o nell'urlo
della disperazione.
Ma la mia vita nell'eternità
quale valore o significato assume, quando queste nascite e queste morti,
appunto, non segneranno più il limite, non saranno più l'alfa e l'omega di ogni
azione, di ogni particolare, il discrimine di passato e futuro?
E quale
sarà il mio futuro quando questo mio corpo, fragile e ricettivo, scaturigine
dell'amore e della conoscenza, mi avrà abbandonato?
È meglio che la smetta di
pormi domande e ceda alle voglie di Poma, impaziente. Si è alzato sulle zampe
posteriori e mi sta addosso, mi alita sul collo, mi lecca l'orecchio: vuole a
tutti i costi giocare.
(Cesare Cellini, 18 Gennaio 1993, in Frammenti d'un journal intime,
1998, pp. 21-22)