giovedì 29 novembre 2012


(Giuseppe Guzzone, Effluvio, 1989)
Giuseppe A. Brunelli
(quatre fragments lyriques
de Cesare Cellini
(traduits en français, avec des variantes)

                  (I)


Nuit de veillée
     (Es. 12, 42)
 
Qui va me montrer la route à suivre
lorsque le noir se condondra avec
la lumière et chaque pas m'apparaîtra incertain

Qui pourra me conduire d'un pas sûr
quand mon esprit brouillé par mon esprit
sera accablé sous le poids de l'éternel

Qui en moi va être pour moi la Parole
quand je serai invité à prononcer mon oui
et avec fermeté dire me voilà moi je suis [1]
 


(Giuseppe Guzzone, Fluire nel vento, 1989)
               (II)
 
Mon attente de l'Attendu

Maintenant que la lumière
s'est assombrie,
que la douleur s'apaise
au fond de l'âme douteuse
(comme la sole dans le sable
sur le fond de la mer
je pense à Toi en ces fragments de vie [2]
 
                              






                        (III)

               On dit que
 
                  La guerre est ailleurs
                  La mort est ailleurs
                                     mais tu meurs
                                     mais je meurs
                  Je vais jeter un pont vers le futur
                  (le plus sûr, le plus loin)
                  Ja vais serrer Ta main [3]

 



[1] C. Cellini, Una notte di veglia (Es. 12, 42), in Transenne, 1996, p. 22: “Chi mi mostrerà la strada / quando il buio si confonderà con la luce / ed ogni sentiero apparirà incerto // Chi mi guiderà con passo sicuro / quando la mia mente offuscata dalla mia mente / non riuscirà a reggere il peso dell’eterno // Chi sarà in me per me Parola / quando sarò chiamato a pronunciare il mio sí / e con fermezza dire eccomi io-sono”.
[2] C. Cellini, L’attesa dell’Attesa, in Neacromata, 1995, p. 31: “Ora che le luci / si sono abbuiate / e il dolore s’acqueta / come Passera di mare / sui fondali sabbiosi / dell’anima incerta / pensando a Te / centellino Signore / frammenti di vita”.
[3] C. Cellini, Dicono, ibidem, p. 28: “La guerra è altrove / La morte è altrove / e tu muori / e io muoio / Lancerò un ponte nel tempo / e stringerò la tua mano”.

 

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 26 novembre 2012




Dino Cunsolo, Musa della Poesia



4 Marzo, 1993

 La Poesia, come tutte le cose, viene dal nulla: nasce da un forte desiderio, da un eccesso di amore –quasi un impeto selvaggio e primitivo– e passa attraverso l'esperienza del dolore.
      Prima che essa sia, infatti, non è nulla: è solo attesa. Dopo, diventa canto, suggestione della vita e della morte, del mistero sempre.
 
 (Cesare Cellini, 4 Marzo 1993, in Frammenti d'un journal intime, 1998, p. 29)
 
 


Elio Romano, Anemoni, 1993
  5  Aprile, 1993
 
Amo per se stessa la Poesia, perché, come dice Pareyson, «nell'opera d'arte essere e dire coincidono, né c'è altro dire che l'essere né altro essere che il dire». Per questo, credo, che la Poesia sia essenzialmente parola, "La Parola".
      Non v'è nulla al mondo che mi soddisfi se non la Poesia. In essa colgo il mistero di me stesso (il "chi sono") e il mistero di Dio (il "Chi è". E i due misteri, uniti nella Parola –nella Poesia cioè– diventano tutt'uno: capacità creativa, nonostante il tempo e la morte.
 
 (Cesare Cellini, 5 Aprile 1993, in Frammenti d'un journal intime, 1998, p. 30)
 
 
 





Michele Costa, Trasparenze, Foto 2004



   Pasqua, 1993
 
 Amare la Poesia –amare cioè la Parola– è amare la creazione.  Credo, infatti, che il primo poeta in assoluto sia stato ed è Dio.
      Ritengo la Poesia, la "parola dell'uomo", e riconosco ad essa la stessa dignità della "parola di Dio": ambedue salvano.
      Se non fosse così, l'Incarnazione perderebbe tutto il suo valore, la sua forza.
 
  (Cesare Cellini, Pasqua 1993, in Frammenti d'un journal intime, 1998, p. 31)



 
 
 
 
 
 
 





 



ed ho provato l'insufficienza delle parole, la sordità dei suoni, l'arrogante banalità del dire,
di fronte al mistero, all'oscurità
(C. Cellini, in Ancora Stelle, 1993, p. 57)

 
 
12 Settembre, 1992.
 
 
Da quando sono tornato dall’ospedale non faccio che indagare, mettere in discussione me stesso e le verità acquisite.
     Come i cani abbandonati, che ripassano l’intera città pur di trovare un avanzo che calmi i morsi della fame e assicuri loro ancora un giorno, anche io non faccio che rimestare le carte dei filosofi per assicurarmi quel tanto di vero per la mente, che mi permetta di oltrepassare la soglia della morte senza paura.
      Per adesso mi sento bene, ma so che questo benessere è provvisorio e che prima o poi dovrò nuovamente arrendermi ai medici e alle medicine. Ciò alimenta il mio tormento, il continuo chiedermi se esiste un presente oltre il futuro e a cosa o a chi vado incontro, quando questa mia malattia, perduto ogni interesse per me, mi abbandonerà: misero avanzo di un pasto consumato troppo in fretta.
     Costretto dal bisogno, spinto dalla necessità, mi affido alla lettura dei Pensieri di Pascal, Del sentimento tragico della vita di Unamuno, della Filosofia di Jaspers, e mi sforzo di comprendere fino in fondo quell’«essere-per-la-morte» di Heidegger; mi sembra, però, di percorrere vie a tratti oscure, a tratti luminose: e l’inquietudine e l’angoscia prendono il sopravvento.
 
(Cesare Cellini, 12 Settembre 1992, in Frammenti d'un journal intime, 1998, p.13)

domenica 25 novembre 2012

 
 
 
Han danzato
(Foto di Pietro Collura 1988)





                                             Dalle grandi praterie
                                                                                   
                                             Oggi la solitudine                                           
                                             si è vestita a festa
                                             Ha indossato i colori
                                             dell'arcobaleno
                                             Ha danzato ovunque
                                             Nel cielo sulla terra
                                             ha danzato
                                             Ha danzato nei sogni
                                             di giovani vecchi
                                             bambini cresciuti
                                             con la speranza
                                             di vivere i giorni
                                             a fatica sottratti
                                             alla morte al dolore
                                             agli inganni
                                             di promettenti futuri
                                            
                                             Oggi la solitudine
                                             si è vestita a festa
                                             Ha indossato i colori
                                             del cielo dei cieli
                                             Ha danzato ha danzato
                                             ha danzato e poi cantato
                                            
                                             Ha cantato
                                                               Libertà libere
                                             Liberi amori
                                                               Uomini liberi
                                             Liberi popoli
                                                               Pensieri liberi
                                             Libere fedi
                                                              Vite libere
                                             Libere morti
                                                             Ha cantato
                                                                                   
                                            Oggi la solitudine                                            
                                            si è vestita a festa
                                            Ha indossato i colori
                                            delle Isole Verdi
                                            dell'Africa Nera
                                            Ha danzato ha cantato
                                            ha cantato ha cantato
                                            ha cantato ha cantato
                                                                                    
 
                                           Ha cantato

(Cesare Cellini, Dalle grandi praterie, in Ancora Stelle, 1993, pp. 14-15)





 
 

 

venerdì 23 novembre 2012







ed ho provato
l’insufficienza delle parole
la sordità dei suoni
l’arrogante banalità del dire
di fronte al mistero
all’oscurità

Apro gli occhi: c’è buio, tanto buio intorno a me. Ho paura. Non ho più certezze. Non so se tutto ciò è sogno o realtà crudele. Non capisco. Non mi è dato capire. Il mistero mi sovrasta. Anche ora, che sono giunto alla fine. Inutilmente, dunque, ho sperato la conoscenza. Credevo che più mi sarei avvicinato al mio finire e più avrei avuto conoscenza. E invece solo un qualcosa, un qualcosa che ripeto: non capisco!
  Intorno a me lunghe pareti scivolose e scale: tante, tante scale, disegnate l’una a fianco all’altra, tutte tese verso l’alto, anzi fuggono e formano vortici.
  Che strano abisso in cui sono precipitato! Sento tanto freddo: i brividi mi assalgono, mi violentano fino a costringermi allo spasimo.
  In alto, forse, al di sopra dell’“alto”, una Luce. Ma è così lontana da me! Sento però che posso raggiungerla. Sì, posso. È difficile, ma posso. Debbo almeno sfiorarla. Raccoglierò le forze rimastemi e come non mai avrò volontà.
  VOLONTÀ
  FORZA DEI DEBOLI DEGLI INCAPACI
   A me, del mio corpo, è rimasto soltanto il busto, il bacino, le gambe, la testa e lo strazio. Disperato cerco le mie mani: affondano sotterra e fuggono inorridite. Unghie strappate e brandelli di carne sospesi nel “qualcosa” che non capisco. Non è vuoto. Non è Nulla. Non so, non capisco. Volteggiano e basta, sputando sangue.
   LA LUCE
  NON È MAI SOTTO DI NOI
   Nel mio cuore, sabbia terra sassi. Il deserto della vita mi ha invaso: oasi una volta pura, tanto vogliosa di donare, di creare.
  Oggi è DOMENICA.
  Otto giorni fa, e da sempre, ricorreva la vigilia del mio strazio. Di me stanco di essere. Nessuno lo sapeva. Io, ero deciso ad andarmene: ero pronto.
 Ora, non lascerò libero il dolore, lo scaccerò. Vivere così a lungo, non ne è valsa la pena, non ne vale, per poi in un attimo, vomitarsi l’anima con un respiro sbagliato, mal formato.
   VOCI  LONTANE
   URLA  MANI PALPANTI  NENIE
   In me, dolore e silenzio, solitudine e rimpianto. La lunga notte era troppo vicina, perché potessi pensare di salvarmi. Dormii, anzi no! Viaggiai e vissi ancora, e vivo ancora; ma per colpa di quanti non mi hanno lasciato andare. Guardandomi, i loro occhi m’imploravano di restare. Ed io ho ceduto per un po’. Non sapevano, non sanno, quanta sofferenza e quanta forza per dominarla, per poter fino alla fine sorridere e rispondere alle loro insistenti domande: “sì, ora sto meglio”, “sì, un po’ meglio”. Così è l’amore.
   È PIÙ DIFFICILE MORIRE
  CHE VIVERE
   È presto, dire che sia già LUNEDÍ.
  Sono ancora le cinque: è buio, l’oscurità della vita, della mia esistenza, non mi dà riposo. Piango e mi riaddormento.
   DORMIRE
   È UN PO’ CAMBIALIZZARE LA MORTE
  Fingo di non pensare, m’illudo, mi ubriaco di sogni, e il giorno come un fiume finisce in un mare di lacrime.
  Dormo e sogno, delle urla mi svegliano: il silenzio è lugubre. Sono come richiamato alla “vita”.
  Oggi è il mio compleanno. Molte le telefonate e le visite. Le ho appuntate tutte su di un foglio, perché non ne andasse perduta la memoria.
 Ho ricevuto anche regali. Li ho accettati: era l’unico modo per stare al gioco, alla finzione. Li ho scambiati con un sorriso, restituendo l’illusione che sarei vissuto ancora. Poi, la torta! La mia ultima torta: alla panna, come piace a me. Come piaceva.
  Oggi è MARTEDÍ.
  L’ansia si fa sempre più intensa ed è già sera. Deluso, da mille illusioni, da fugaci speranze, da sorrisi inesistenti, mi arrendo: senza più forze, ormai. Il mio destino è segnato; il vuoto è in me: fingo, e cado nel tempo. Già tutto è passato, tutto si è dissolto.
  LA MIA FINZIONE
  MI INGANNA
  Sogno di far visita alla morte, ma lei non c’è. E a me, non bastò tutta la notte fra incubi d’attese e pianti di strana compassione, per cercarla.
   MERCOLEDÍ.
   Che strano risveglio: respiro male, il singhiozzare e il frignare non mi danno pace, ancora mi perseguitano.
  Avevo incontrato l’amore: mi salutava con un bacio sulla fronte. Gli dicevo di restare, ma niente; come sordo mi sfuggiva, ed io impotente, fermo, indifferente, chiudevo gli occhi, gli voltavo le spalle: rinunciavo.
  È ancora mattino. Fra sogni e lacrime, il giorno... muore, è finita. A me, in uno strano letto freddo, non è rimasto che un pezzo di lenzuolo.
   Anche GIOVEDÍ è arrivato.
   Mi sveglio e me ne pento, avrei voluto ritardare il più possibile questo mio risveglio, l’avrei voluto rimandare a fine giorno. E ancora il dolore mi assale, vince.
  Io che sono sempre stato un frignone, quanta sofferenza, ora. Che debbo fare per non sciuparla? Nessuno mi sa dare risposta.
  Ora sento i miei pensieri ammassati dentro di me, sembrano voler scioperare, rifiutano il controllo della mente, che disperata invoca aiuto al silenzio. La confusione è l’unica a dirigere il mio stato d’animo. Ho sonno, vorrei dormire sempre e volare nell’infinito.
   PAROLE VELATE  SORRISI OSCURI
   SPERANZE FORZATE
   Per istinto cerco di distrarmi; corro lungo l’arco di tutta la giornata: la mia giornata. Di sera, senza più respiro; finalmente posso andare a dormire. Prima di addormentarmi, però, mi libero: allontano i miei pensieri, cerco di alleggerire la mente. Anche il mio corpo cerco di alleggerire; quasi un voler raggiungere uno stato di levitazione. Con forte desiderio mi addormento.
   VENERDÍ.
   Ancora, mi sveglio; il giorno sembra nuovo.
  Oggi sono invaso da un leggero stato d’indifferenza: non vedo, non sento, eppure parlo, mi sforzo.
  Il Sole albeggia appena; io prego, e soffio verso di Lui: Lo incito, mi incito. Una luce di speranza nuova, appare nella mia mente, ombrata ancora da uno strano senso di amarezza che si era a lungo impadronita di me.
  Del mio “ieri” non mi erano rimaste che lacrime.
   L’INSODDISFAZIONE
  È LO SPRONE DEI GRANDI
   Sento come spezzarmi in due. Il dolore avanza e l’angoscia tenta i suoi assalti di morte. In me conflitto, guerra, lotta senza speranza. Sono stanco di essere sempre eguale.
  Ad un tratto, come per incanto, una voce stridula ma armoniosa dal mio Io più profondo sussurra: “lascia che i tuoi chiodi si tramutino per libera scelta in abbraccio”.
  Ho pensato di scrivere un racconto, una fiaba, se ne avrò il tempo.
  Vorrei tanto che il mio dolore si mutasse in nuovo humus per la vita. In esso sento di appartenere un po’ a tutti. Mi sento umano: il dolore non coglie differenza alcuna fra bianchi e neri, fra diversi e normali.
   VIVERE È...
   CONTINARE ANCORA
   SABATO.
   Oggi mi sento più forte, più uomo.
 Come i cani quando si scrollano l’acqua di dosso, anch’io cerco di scrollarmi l’angoscia e la paura del ricordo di quei “giorni-sempre”, quando la superficialità mi vinceva e la mia mente era solo occupata dalla mia mente.
   LA FEDE
   SIAMO NOI
   Il mio respiro si fa più gradevole, il giorno profuma di libertà, in me un gran senso di nudità, di ricchezza rinata, improvvisa. Adesso sento di nuovo la vita vivere, il mio cuore battere a ritmo di felicità, cosciente di essere per il mondo. Lascerò una mia dolce impronta e camminerò senza né timori né silenzi.
  Assorto in sempre nuovi pensieri, allungo le mani, le bacio, le incoraggio, le carezzo, guardo in alto: la Luce non è più lontana. Ora, è vicina, vicinissima: è quasi in me.
  Domani, finalmente, ad alba inoltrata, col sole già alto nel cielo, mi addormenterò sereno e, allora... ancora stelle.
 (Cesare Cellini, Ad alba inoltrata [diario dell'ultima settimana di vita], in Cháris, 1993, pp. 59-67)






La casa del poeta
  
 
La casa del poeta
animata da ninnoli
di poco valore
da giocattoli rotti
da scatole vuote
nasconde nell'ombra
sorrisi appena abbozzati
sospiri d'amori perduti
 
La case del poeta
rivestita di libri
talvolta mai letti
di presenze antiche
di miti ed eroi
vive in silenzio
parole mai dette
desideri improvvisi
  
 La casa del poeta
frequentata sovente
da popoli oppressi
da libertà perdute
da uomini in cerca di Dio
custodisce in segreto
verità semplici
armonie di dolori
  
La casa del poeta
misteriosa tanto
quanto il mistero
immersa in un'aria
arsa di teneri azzurri
eguale alle Eguale
versa in silenzio
lacrime interiori
  
(Cesare Cellini, La casa del poeta, da Neacromata, 1995, pag. 52)

 

 

mercoledì 21 novembre 2012


Noi siamo
 
Ogni istante-sempre  
quando le voci
si stringono a noi
o la morte e il dolore
emanano fetore
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando il sole
risveglia i nostri sensi
o le guerre dichiarano
nuove guerre 
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando l'amore
non ci abbandona
e le nostre menti
diventano contorte
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando il sorriso
affiora sulle labbra
o il silenzio di Dio
ci atterrisce
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando il male
ci rende pietosi
o la ragione
si muta in violenta follia
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando crollano
i muri della vergogna
o i normali
rendono diversi i diversi
noi siamo
 
Ogni istante-sempre
quando finalmente assomigliamo
soltanto a noi stessi
o il nostro corpo
sta per finire nell'oblio
noi siamo
 
 (Cesare Cellini, Noi siamo, in  Ancora Stelle, 1993, pp.53-54)