mercoledì 14 novembre 2012


Natale 1992

Da quando ho saputo che mi restavano pochi mesi da vivere, nonostante la mia lotta quotidiana, aiutato da medici e medicine, ho scoperto che del tanto tempo destinato agli esseri viventi, a me ne è stata accordata una congrua parte.
      Appena appresa la notizia, l’angoscia e la disperazione mi hanno sopraffatto e i minuti e le ore mi sono scivolati via dalle mani senza neppure rendermene conto: velocemente. Poi, ho riflettuto.
     A differenza di altri, compreso me stesso prima di sapere, io ora conoscevo pressappoco la data della mia morte. Ed è stato, ed è, un privilegio; me ne rendo conto: una grazia.
Vittorio Di Blasi, Ombra, 2008, cm 120 x 80, Abitazione privata
tecnica di esecuzione: vetro, legno, corpo illuminante, 
lamina essiccata di ficodindia su fondale e ombra
      Conoscere il quando della mia morte, mi ha liberato dalla paura che potesse giungermi nel momento meno propizio, quando ancora mi restavano molte cose da fare, o nel momento della rabbia e del disonore.
      Adesso ho tutto il tempo per prepararmi all’incontro. Vivo, infatti, l’attesa della morte come riconciliazione.
     Mi sono sempre lamentato di avere poco tempo; ora, invece, che ne ho davvero poco, mi accorgo di averne molto e che un minuto non è composto solo di sessanta secondi, ma di molte più cose: sessanta pensieri, sessanta desideri, sessanta possibilità di essere ed amare.
      Ora, ho il tempo per fare ogni cosa; ma ogni cosa pensata e scelta fra mille; ogni cosa per la quale vale la pena spendere il proprio tempo, la propria vita.
      Custode, allora, di questa congrua parte di tempo accordatami, una buona porzione la dedico al canto.
      Che meraviglia il canto, quando si muta in parola. Ha il potere di mutare a sua volta il tempo in eternità; il dolore in gioia interiore; la bruttezza e l’empietà, in bellezza e gioia per i sensi e l’anima.
      È l’Arte, che è capacità di trasfigurare, trasfigurare sempre; che alla certezza, preferisce il dubbio, e alle grandi cose le piccole.
      È l’Arte, che all’esistenza di Dio, preferisce sapere che fra noi e Lui esiste, invece, una grande intesa; una complicità, che ci accomuna nell’atto del creare, che fa amare fino a consumarsi e rende sacra la vita.
      Sempre più mi rendo conto, in quest’ultima parte di tempo accordatami, che l’unica sfida alle intelligenze di tutti i tempi, passati e futuri, è, e sarà, sempre Dio.
      Anche se non esistesse in sé, Dio, sarebbe sempre quell’Oltre ogni possibile oltre: il luogo immaginario dove finiscono tutte le favole puntualmente sognate, compreso il canto e la parola.
Vittorio Di Blasi, Tappeto delle foglie perdute2006,
 cm 210 x 130, Hall di ingresso Lido Azzurro Catania
lamina essiccata di ficodindia su vetro

      E intanto senza di Lui non solo morirebbe in noi il sogno della immortalità, ma, soprattutto, la capacità di creare realtà (che è più di un sogno) che superino il limite del tempo: fossero anche delle semplici dichiarazioni di amore.
      Privarci di Dio, è privarci del piacere delle favole, nelle quali i desideri si mutano in sogno (e questo è il nostro miracolo) e i sogni in realtà (e questo è il Suo miracolo).
      Che queste realtà, poi, non trovino un luogo dove concretamente esistere, non ha importanza: è secondario. Un luogo, qualunque fosse la sua ampiezza, è sempre limitazione del pensiero.
      Ora che la parte di tempo accordatami, la congiura parte, si assottiglia, si frantuma in piccole schegge, si muta in attesa, e la mia vita si prepara nel silenzio a divenire finalmente parola, io volgo un pensiero, che è quasi un canto, a quel piccolo spazio che ospiterà il mio corpo, e che sarà unico testimone del mio disfacimento; unico custode, unico arrendevole amore, paziente di attendere il grande ritorno.
      Mi conforta pensare che quando la parte di tempo, oltre quella accordatami, finirà, questo piccolo spazio saprà restituirmi intero alla vita; e gioirà con me, dimenticando di avermi atteso a lungo.

(Cesare Cellini, Natale 1992, da Frammenti d'un Journal intime, 1998, pp. 16-18)

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