mercoledì 21 novembre 2012





22 Gennaio 1993

  
Oggi è venuto a trovarmi un amico, un collega di Università. Gli ho confidato il mio travaglio; gli ho detto che mai come in questi tempi ho desiderato Dio e che mai come in questi tempi ho dubitato della Sua esistenza.
      Lui mi ha invitato, allora, ad essere ragionevole, dicendomi che è pura utopia credere nell'esistenza di qualcuno o qualcosa dopo la morte; che Dio non esiste, è solo un prodotto della fantasia, il sogno dei folli e dei disperati.
      Ma io sono un disperato! Ho quasi gridato. Poi, dopo alcuni minuti di silenzio, ho replicato: e se anche fosse? Sarebbe un sogno trasgressivo, come trasgressivi sono tutti i folli e i disperati: disprezzano la vita e la difendono ad oltranza, non credono nell'onestà dell'amore e lo esaltano fino al sacrificio estremo, infrangendo tutte le norme: ogni giorno, fino all'inevitabile vuoto in cui la gente ragionevole, come te, dalla sommità della propria ragionevolezza, li dirupa.
      Se ne è andato, salutandomi appena. Sono rimasto in poltrona, con un groppo alla gola e lo sgomento nel cuore. Perché mai, mi son detto, proprio ora che sono vicino alla mia fine, io debba essere ragionevole. Ho sempre amato la trasgressione: ho amato l'Arte, la musica, il canto. Ho amato l'amore.
      No, non voglio essere ragionevole; voglio, invece, accompagnarmi ai mille sogni, ai mille volti, a quel Dio che il mio io sarà capace di inventarsi e rendere reale, come la Parola che si è fatta carne, sfidando il tempo e l'eterno.
      Calmatomi, sono andato al balcone, dalle mie cocorite. Ho steso la mano dentro la voliera e la più anziana, come al solito, mi è saltata sul dito, sicura che l'avre fatta uscire. L'ho portata con me nello studio, dove Poma se ne stava sdraiato a sonnecchiare.
      Mi sono anch'io accucciato per terra, vicino a lui, tentando per l'ennesima volta di renderli amici.
      Poma ha alzato la testa, fissandoci; poi, mi ha allungato una zampa sul petto. Con voce calma, allora, ho ripetuto le presentazioni ed ho avvicinato pia piano la cocorita a lui, fino a farla saltare sulla sua zampa.
      Poma ha scodinzolato, allungando il muso vero lei. Ci ero finalmente riuscito: lei aveva superato la paura e lui aveva vinto l'istinto di predare, in quel momento.
      Dalla gioia ho abbracciato Poma e baciato sulla testa la cocorita. Siamo rimasti a giocare per un bel pezzo, fino a quando non ho sentito girare la chiave nella toppa della porta di casa. Allora mi sono alzato e con la complicità di Poma, che mi veniva dietro, sono andato a far rientrare la cocorita in voliera: ha schiamazzato con forza il suo disappunto.
      Occorreva, però, che quanto accaduto rimanesse un segreto fra noi: avevamo appena rinunciato, all'insaputa, forse, di noi stessi, alla ragionevolezza!

 (Cesare Cellini, 22 Gennaio 1993, da Frammenti d'un journal intime, pp. 23-24)

 


 

 

 

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